Di seguito un reportage del quotidiano La Repubblica del 5 aprile che fa il punto, a modo suo, sullo stato attuale delle cose a Termini Imerese dopo l'ingresso della Blutec.
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In un territorio in declino Blutec per ora ha riassorbito solo 90
operai che, poi, saliranno a 700. Si guarda ancora a Fca. Nell'epoca d'oro di
Fiat, qui lavoravano quasi 4mila tute blu. Adesso l'indotto è scomparso e anche
le banchine del porto sono deserte. I sindacati: "Progetto troppo
vago"
dal nostro inviato MARCO PATUCCHI
TERMINI IMERESE - "Sono entrato in fabbrica nel 1977,
prima facevo il contadino. All'inizio lavoravo nel reparto lastratura, il più
pesante, ma per noi abituati alla fatica dei campi era una passeggiata. Quando
finivamo il turno tornavamo a zappare la terra". Antonio, detto
"Nino", esce dal cancello della sua casa alle falde del monte San
Calogero ("San Caluòru" come dicono qui), attraversa la strada e si
affaccia sulla contrada Tifeo e sul mare di Termini Imerese. Là sotto lo
stabilimento ex-Fiat e la centrale dell'Enel sembrano parti di un plastico. Si
muove solo il fumo bianco che esce lentamente da una delle ciminiere della
centrale e si perde sopra le onde. Nino lavorava nella fabbrica del periodo
d'oro, quando 3400 operai facevano tre turni per produrre la Cinquecento, la
126, la Panda. Quando l'indotto occupava altre mille persone. La fabbrica più
grande della Sicilia, il polmone di benessere economico per Termini Imerese e
per tanti paesi delle Madonie.
Oggi Nino è in pensione, la Fiat se ne è andata da sei anni
perché costruire auto a Termini costava troppo, le aziende dell'indotto sono tutte
ferme e ci sono un migliaio di lavoratori attaccati con le unghie all'ultima
speranza di sopravvivenza dell'impianto. Giusto un anno fa i primi venti di
loro sono rientrati, poi se ne sono aggiunti settanta, altri riprenderanno da
qui al 2018 quando si dovrà raggiungere la piena occupazione di 700 operai. Nel
frattempo c'è la cassa integrazione prevista per le aree di crisi complessa:
quindici bandierine rosse sulla mappa dello stivale che segnano la geografia
del declino industriale italiano. Governo (con il braccio operativo Invitalia),
sindacati, enti locali e aziende provano a disegnare, in un complicato gioco di
squadra, possibili rilanci, riconversioni, bonifiche. Ma spesso sono imprese
disperate in lotta con il mainstream dei mercati globali e con la latitanza
della politica industriale nazionale.
[A sei anni dalla chiusura della fabbrica della Fiat, che era
la più grande della Sicilia e negli anni d'oro aveva impiegato quasi 4000
addetti, il polo industriale di Termini Imerese tenta il rilancio attraverso i
progetti della Blutec sull'auto elettrica. Un piano accompagnato dal governo
che ha inserito Termini Imerese tra le aree di crisi complessa del Paese. Per
adesso è tornato al lavoro solo un centinaio di operai e il piano prevede una
piena occupazione di 700 lavoratori. Un ridimensionamento che pesa
sull'economia del territorio, ma anche l'unica chance contro il declino
definitivo.]
Ai cancelli dello stabilimento di Termini Imerese ora
campeggia l'insegna della Blutec, l'azienda del gruppo piemontese Metec Stola
(quasi 4000 dipendenti tra Brasile e Italia per un fatturato di 300 milioni di
euro) che nel 2015 ha raccolto la sfida del rilancio promettendo un polo per la
realizzazione di auto ibride e elettriche. La prima e unica proposta concreta
arrivata dopo illusioni e bluff sparsi.