domenica 29 luglio 2018

COSA C'ERA DIETRO LA 'PUNTO'? IL SISTEMA SCIENTIFICO DI MODERNO SFRUTTAMENTO DELLA FIAT DI MARCHIONNE

Il 27 luglio è stata prodotto nello stabilimento della Fiat-Sata di Melfi l'ultimo modello della  Punto.
Con chiaramente accordo sindacale, buona parte degli operai e operaie è messa in contratto di solidarietà - con una riduzione dell'orario di lavoro (e quindi del salario) mediamente del 28% - e per gli operai considerati "infungibili" per la produzione dei modelli rimasti, Jeep e 500x, c'è la cassintegrazione.
Già ai primi di luglio si parlava per Melfi di 1640 esuberi.

L’uscita di produzione della Punto coincide col ridimensionamento definitivo del marchio Fiat, già annunciato da Marchionne ufficialmente il 1 giugno e con la fine della produzione di vetture economiche per spostarla soprattutto sui marchi premium, ad alta redditività (Jeep).

La stampa, mettendoci anche un velo di "nostalgia" da parte degli operai (che non guasta mai), in alcuni articoli fa la cronaca della produzione della Punto fatta per 25 anni. 
Ma chiaramente tace su cosa ha significato per gli operai; cosa c'era dietro questa produzione, in una fabbrica, come la Sata di Melfi, in cui la Fiat ha costruito il suo nuovo sistema, dove vi è stata e vi è l'applicazione più scientifica del moderno sistema capitalista italiano di sfruttamento della forza-lavoro, di estorsione del plusvalore.

Cosa ha significato questo sistema per gli operai, lo hanno descritto, denunciato, gridato
negli anni tantissimi operai e operaie; in alcuni momenti in modo forte, collettivo che ha fatto paura a padroni, governo e Stato - come furono i meravigliosi 21 giorni del 2004, in altri momenti più in silenzio, in maniera individuale, o in piccoli settori di operai; e ora con una difficile, ancora minima, ma costante, irremovibile ripresa di autorganizzazione operaia e di iniziative di lotta, scioperi.

"A Melfi si è passati dalla fabbrica modello Chaplin di 'Tempi moderni' che voleva solo le braccia degli operai, ad una fabbrica "modello Chaplin" che chiede anche il cervello,l'anima dell'operaio, ma che in sostanza vuole ridurre il "cervello" a dire solo "sì" allo sfruttamento selvaggio delle sue "braccia".
"Se la fabbrica fordista si fondava sul comando burocratico-gerarchico e sulla coercizione, la fabbrica snella si prefigge il coinvolgimento totale degli operai, della loro forza lavoro e della loro intelligenza, della stessa soggettività... Nella fabbrica snella non sono più possibili nicchie d'ombra e "retrobottega" in cui gli operai possono esercitare discrezionalità e autonomie fuori dal controllo padronale, giacchè il "just in time" e il miglioramento continuo, impongono ai lavoratori una pressione strutturale verso una reattività immediata e trasparente, non procrastinabile o semplicemente dilazionabile nel tempo...". (Dal libro 'Fiat le armi della critica di classe contro il fascismo padronale').

Prima o poi, ma è inevitabile, tornerà in maniera forte, ampia la "primavera di Melfi". 

In morte di Marchionne. Editoriale

La morte annunciata di Sergio Marchionne ha rilanciato tutta la borghesia e i suoi organi di stampa e reti televisive in una glorificazione, a cui si è associato anche il presidente fascio-imperialista Trump che lo ha paragonato addirittura ad Henry Ford. 

E' indubbio che Marchionne ha meritato gli elogi del capitale, e ne ha rappresentato gli interessi ben oltre la vicenda del gruppo Fiat.

Egli ha interpretato in maniera quasi esemplare il suo carattere di "funzionario del capitale".

Pur essendo un manager, ha incarnato gli interessi dei padroni, meglio dei padroni stessi; ha preso la Fiat in una situazione di crisi, l'ha, per così dire, salvata e ha giostrato nello scontro e nelle alleanze realizzando, con la fusione con la Chrysler, una operazione che ha salvato i profitti degli Agnelli e quelli dei padroni americani che anch'essi si trovavano di fronte alla crisi di Detroit.

Certo è stato uno dei manager meglio pagati al mondo, ma è sbagliato ridurre tutta l'operazione ai suoi lauti guadagni. Marchionne ha impresso uno stile personale che i padroni in quanto tali e i loro governi non potevano in nessuna maniera realizzare. Ha dato a tutta la vicenda un'anima, e in questo indubbiamente i padroni non possono che essergli eternamente grati, e il suo posto è sicuro nella storia concreta del capitalismo italiano, nella storia dell'industria dell'auto.

E ora con la sua morte sicuramente si apre un vuoto, ben oltre gli indici di Borsa, ma proprio quello lasciato da un funzionario esemplare del capitale che ha colto e cercato di realizzare l'essenza del modo di produzione capitalista e delle leggi del capitale.

Il profitto dipende dall'estorsione del plusvalore e dalla sua realizzazione nel mercato mondiale; il profitto si fonda sullo sfruttamento dei lavoratori. Lo sfruttamento degli operai domanda un comando assoluto e dispotico della forza lavoro, incompatibile con diritti e sindacalismo di classe.

Quella di Marchionne è stata una guerra, una guerra di classe contro la la classe operaia, condotta con radicalità e senza scrupoli, schierando intorno a sè tutte le figure del sistema del capitale, in primo luogo i governi, quindi l'apparato dello Stato e sopratutto in forma decisiva le organizzazioni sindacali come espressione dell'aristocrazia operaia, come puntello del capitale.

E lì che le qualità di Marchionne hanno dimostrato la loro vera natura e messo a nudo le leggi di fondo di questo sistema.

Marchionne è stato l'interprete del fascismo padronale nella forma più pura, in una situazione in cui l'instabilità dei governi e le contraddizioni dello Stato e nello Stato non lo permettevano lo rendevano difficile..


Sul Sole 24Ore 26 luglio si legge  : "Addio a Sergio Marchionne, outsider e uomo di sistema". Alberto Bombassei parla di un "manager rivoluzionario per finanza e industria"; Gian Maria Gros-Pietro di "sintesi perfetta di strategia e tattica"; il Presidente della Confindustria di  "Uomo di rottura e di innovazione". E' tutto vero dal punto di vista dei padroni.


Abbiamo analizzato in un libro - di cui raccomandiamo umilmente la lettura - giorno per giorno, nella fase più acuta della guerra di classe negli stabilimenti Fiat, quali siano stati gli effettivi effetti di questo in fabbrica.


Ora bisogna, però, guardare alle condizioni che hanno permesso a Marchionne di incarnare in questa forma gli interessi di fondo, strategici e tattici del capitale.


Marchionne è stato il capo di stato maggiore della guerra antioperaia, ma gli operai Fiat non sono riusciti ad opporre ad esso un proprio "stato maggiore", una propria organizzazione di classe dotata di una strategia e tattica per combattere questa guerra.

La fine e l'assenza del partito di classe, il cambio di natura del sindacalismo in fabbrica, la inadeguatezza delle tenaci e combattive avanguardie di fabbrica, organizzate o no nei sindacati di base, sono stati gli inevitabili compagni di strada dell'affermazione di Marchionne.

La morte drammatica di Marchionne è l'occasione per fare un'analisi e un bilancio di parte operaia, delle ragioni interne alla classe e alle sue organizzazioni che hanno permesso a Marchionne di essere grande.
Le reazioni nelle fabbriche Fiat alla sua morte restituiscono una fotografia di questo stato delle cose, tra operai dispiaciuti o che vedono a rischio il loro futuro e avanguardie che sottolineano in forma giusta ma scontata i danni di Marchionne alla classe operaia e al movimento sindacale di classe. Questa fotografia dimostra che c'è ancora molto lavoro ideologico, teorico, politico, organizzativo da fare perchè gli operai possano riprendere, sulle ceneri di una sconfitta storica, le armi per una controffensiva.
Le condizioni materiali attuali del gruppo Fiat e il vuoto di progetto e comando creato dalla morte di Marchionne favoriscono, però, l'emergere non della forza del gruppo Fiat ma la nuova fase di crisi profonda che si avvicina.
Gli uomini del capitale restano giganti dai piedi di argilla, i veri eroi sono le masse.
E' tempo di didimostrarlo:

proletari comunisti/PCm Italia
27 luglio 2018

lunedì 23 luglio 2018

La questione operai Termini Imerese ex FIAT resta sempre al palo: operai senza lavoro e senza lotta, senza futuro

comunicato ai lavoratori

Al Tavolo al Mise sempre e solo un problema: l'ennesima fine della cassaintegrazione a fine anno.
Serve invece riaprire prima di tutto la questione FCA che si deve riprendere in una qualche forma questi lavoratori e/o ne deve garantire il futuro lavorativo.
La richiesta ennesima a Blutec di presentare il progetto industriale è funzionale solo per una nuova cassa integrazione e non per una effettiva ripresa del lavoro.

Lo Slai cobas per il sindacato di classe - coordinamento nazionale fa appello agli operai perchè si autorganizzino per lottare - si colleghino agli operai autorganizzati della FCA presenti negli altri stabilimenti - fuori e contro dai sindacati confederali - fuori e contro la ricerca di destini individuali e accettazione della divisione tra operai di serie A e operai di serie B.
Rovesciare lo stato di cose è possibile!

Slai cobas per il sindacato di classe
coordinamento nazionale
slaicobasta@gmail.com

sede di palermo
SLAI COBAS PER IL SINDACATO DI CLASSE
3408429376

SOTTOSCRIVIAMO L'APPELLO DEGLI OPERAI FIAT

Appello per i 5 operai Fiat Pomigliano

Due anni fa lanciammo una mobilitazione contro il licenziamento di cinque operai cassintegrati della Fiat di Pomigliano “colpevoli” di aver espresso il dolore e la rabbia per il suicidio di tre compagni di fabbrica, privati – non diversamente da loro – di ogni prospettiva di occupazione. Ci parve che gli amministratori della giustizia avessero rimesso il mondo sul suo asse, perché la Corte d’appello, smentendo il Tribunale del lavoro, diede ragione a Mimmo Mignano e ai suoi quattro coraggiosi compagni, ordinando alla Fiat Chrysler Automobiles il pieno reintegro. Cosa che però la FCA non fece, limitandosi a versare il salario senza permettere ai cinque di varcare i cancelli della fabbrica, quasi fossero pericolosi criminali, mentre invece portò la vicenda in Cassazione.
Dopo un tempo lunghissimo – due anni, che i cinque hanno trascorso in attesa e sospensione nel vuoto – il 6 giugno 2018 la Cassazione ha reso nota la sentenza con cui accoglieva il punto di vista aziendale, sancendo l’obbligo di “fedeltà” all’azienda fuori dall’orario di lavoro.

Secondo i giudici di Cassazione, i cinque avrebbero posto in essere «comportamenti che compromettevano sul piano morale l’immagine del datore di lavoro», venendo meno all’«obbligo di fedeltà a carico del lavoratore subordinato» richiamato dall’articolo 2105 del Codice civile. Questo a dispetto del fatto che l’articolo in questione dispone – semplicemente – che «il prestatore di lavoro non deve trattare affari, per conto proprio o di terzi, in concorrenza con l’imprenditore, né divulgare notizie attinenti all’organizzazione e ai metodi di produzione dell’impresa, o farne uso in modo da poter recare ad essa pregiudizio».
Stiamo parlando di una norma studiata per salvaguardare gli interessi dell’azienda rispetto ad eventuali competitori, che vieta al dipendente di mettersi in concorrenza con il proprio datore di lavoro, legandolo alla riservatezza sui segreti aziendali. Come può una simile disposizione essere indirizzata a operai che, con mansioni esecutive spesso limitate a una sola linea di produzione, o al massimo a un reparto, nemmeno lontanamente possono «trattare affari per conto proprio o di terzi», né tantomeno conoscere «notizie attinenti all’organizzazione e ai metodi di produzione»?
La sentenza ratifica una ratio secondo cui non conta la sofferenza dei deboli ma l’immagine pubblica del padrone; in cui non si protegge l’onorabilità dei suicidi ma quella della controparte, indipendentemente dall’immane disparità del rapporto di forza.
Anno dopo anno, in Italia è stata intaccata la fondamentale funzione esercitata dalla disciplina del diritto del lavoro, diretta a bilanciare lo squilibrio nel rapporto di forza fra imprenditore e dipendente.
Privati persino del diritto di protestare, di gridare il proprio dolore e offesa, cosa lo Stato intende lasciare ai suoi cittadini cassintegrati, licenziati, disoccupati, oltre all’abisso di gesti autolesivi?
Contro questa sentenza, che apre pericolose contraddizioni sull’interpretazione dell’obbligo di fedeltà cui sarebbero assurdamente sottoposti i dipendenti aziendali, intendiamo sostenere non solo Mimmo Mignano e i suoi compagni, ma i numerosi lavoratori licenziati per aver espresso pubblicamente opinioni critiche sulle scelte del proprio datore di lavoro, benché fuori dall’orario e dalle sedi di impiego.
Una simile interpretazione adatta ai casi concreti i principi generali della fedeltà e dell’auto-dominio, e così facendo sancisce l’asservimento dei lavoratori, li condanna al silenzio, li rende ricattabili nella sfera pubblica, riduce la persona umana al mero scambio lavorativo appropriandosi anche della parte di esistenza che è fuori dall’orario di lavoro, disconosce la tutela della dignità dell’uomo sancita dalla Costituzione.
Le recenti riforme del lavoro hanno modificato le relazioni tra lavoratori e datori di lavoro, indebolendo le tutele dei primi a favore dei secondi. Quanto sta accadendo non è solo il risultato di cambiamenti normativi ma l’indice di una profonda involuzione culturale, politica e umana, che minaccia lo stesso sistema democratico del nostro Paese.
La sentenza contro i cinque della FCA segna un salto simbolico al quale intendiamo opporci, perché va a colpire operai che hanno attuato una protesta sindacale utilizzando espressioni satiriche, per quanto aspre, all’unico scopo di dar voce all’angoscia esistenziale che nasce dalla precarietà del lavoro, dall’umiliazione dell’essere considerati scarti dell’umanità, dal dolore per i numerosi compagni che negli anni, alla Fiat e in tutta Italia, si sono suicidati per la perdita del lavoro.
Anche noi crediamo nell’obbligo di fedeltà: quello alla dignità di chi si oppone, e quello alla memoria di chi soccombe. Per questo lanciamo una campagna con la quale chiediamo al Legislatore di regolamentare la normativa sull’obbligo di fedeltà limitandone l’interpretazione a ciò che effettivamente dice, cioé la difesa dell’azienda rispetto alla concorrenza, e chiediamo alla Cassazione di revocare e correggere l’attuale interpretazione.

Per sottoscrivere l’appello vai a: https://nolicenziamentiopinione.wordpress.com/
Oppure invia mail di adesione a: 
ellugio@tin.it
PRIMI FIRMATARI
Andrea Vitale, maestro, pubblicista
Daniela Padoan, scrittrice
Alessandro Arienzo, Università di Napoli “Federico II”
Franco Rossi, docente e pubblicista
Guido Viale, economista
Paolo Maddalena, vicepresidente emerito della Corte Costituzionale, presidente Attuare la Costituzione
Erri De Luca, scrittore
Massimo Cacciari, filosofo
Marco Travaglio, giornalista, direttore de Il Fatto Quotidiano
Luigi De Magistris, sindaco di Napoli
Moni Ovadia, attore
Ascanio Celestini, attore e regista
Padre Alex Zanotelli, missionario comboniano
Massimo Villone, costituzionalista, professore emerito di diritto costituzionale all’Università degli Studi di Napoli
Lorenza Carlassare, giurista e costituzionalista
Luigi Ferrajoli, giurista, professore di filosofia del diritto all’Università di Camerino
Riccardo Petrella, professore emerito dell’Università Cattolica di Lovanio (Belgio)
Giuseppe Del Bene, già magistrato del lavoro
Alessandra Ballerini, avvocato
Giuseppe De Marzo, responsabile politiche sociali di Libera
Eleonora Forenza, parlamentare europea, Gruppo GUE/NGL
Luigi De Giacomo, fondatore “Attuare la Costituzione”
Don Peppino Gambardella, parroco di Pomigliano
Francesco Pallante, professore di diritto costituzionale all’Università di Torino
Annamaria Rivera, antropologa
Maria Grazia Meriggi, docente di storia delle culture politiche e dei movimenti sociali europei all’Università di Bergamo
Barbara Pezzini, ordinaria di diritto costituzionale, prorettrice con delega alle politiche di equità e diversità dell’Università di Bergamo
Giuseppe Marziale, avvocato
Giuseppe Antonio Di Marco, Università di Napoli “Federico II”
Valeria Parrella, scrittrice
Francesca Fornario, giornalista e scrittrice
Franco Lorenzoni, maestro
Riccardo Bellofiore, professore di economia politica all’Università di Bergamo
Piero Bevilacqua, storico
Gruppo musicale Lo Stato sociale
Giuseppe Aragno, storico
Donato Auria, operaio indotto FCA Melfi
Domenico De Stradis, operaio FCA Melfi
Andrea Di Paolo, operaio FCA Termoli
Piero Azzoli, operaio FCA Cassino
Teresa Elefante, operaio FCA Mirafiori
Rosario Monda, operaio FCA Pomigliano, reparto logistico Nola
Andrea Tortora, operaio FCA Pomigliano, reparto logistico Nola
Giorgio Cremaschi, Piattaforma Sociale Eurostop
Mario Agostinelli, Energia Felice, già segretario generale della CGIL Lombardia
Piero Basso, presidente Costituzione Beni Comuni
Emilio Molinari, Comitato Acqua Pubblica, già parlamentare europeo
Franco Calamida, già deputato del Parlamento italiano
Vittorio Agnoletto, medico, già parlamentare europeo
Giuseppe Cacciatore, professore emerito Università Napoli, Accademico dei Lincei
Maria Rosaria Marella, docente Diritto Costituzionale, Università di Perugia
Nicola Magliulo, docente e pubblicista
Maurizio Acerbo, segretario nazionale PRC
Giovanni Russo Spena, dirigente nazionale PRC
Gianluca Carmosino, redazione Comune-info.net
Alessandro Portelli, storico
Damiano Colletta, sindaco di Latina
Claudio Serpico, docente Università Federico II Napoli
Michele Tripodi, sindaco di Polistena
Giovanna Vertova, docente di economia politica
Marco D’Isanto, commercialista e pubblicista
Giovanni De Stefanis, Assoc. Libertà e Giustizia, Circolo di Napoli
(*) testo ripreso – con l’immagine – da https://nolicenziamentiopinione.wordpress.com
«Il fatto nuovo è che l’economia abbia cominciato apertamente a fare guerra agli umani; non più solo alle possibilità della loro vita, ma anche a quelle della sopravvivenza». Guy Ernest Debord – scrittore, regista e filosofo francese – in “La società dello spettacolo” (1967), un’opera profetica che varrebbe la pena rileggere o leggere per la prima volta.
(*) Chief Joseph è stato una guida (militare e spirituale) dei Nasi Forati, un popolo nativo americano. Si chiamava in realtà Hinmaton Yalaktit, che in lingua niimiipuutímt significa Tuono che rotola dalla montagna.